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22 ottobre 2016

Un bonebed di Avimimus



Funston et al. (2016) descrivono un bonebed dalla Formazione Nemegt della Mongolia meridionale, composta da elementi in larga parte disarticolati. Il bonebed fu scoperto nel 2006 ed era, al momento della scoperta, già stato depredato da cercatori illegali di fossili. La grande maggioranza degli elementi presenti ancora nel bonebed (il 90%) è riferibile ad Avimimus, che è rappresentato da un numero minimo di 18 individui, stima basata sulle 33 tibie rinvenute. Aspetto interessante dell’associazione è che tutti gli individui sono riferibili a stadi di crescita subadulto o adulto, senza rappresentanza di immaturi. Siccome nel bonebed sono presenti ossa di animali di piccole dimensioni (come mammiferi), l’assenza di Avimimus giovani non è da imputare a fattori fisici che selezionarono le dimensioni delle ossa nel sito. Siccome esistono altri casi di associazioni monospecifiche a dinosauri segregate in base allo stadio di crescita, questo sito conferma che nei dinosauri mesozoici è frequente la segregazione in gruppi omogenei per fasce di età.
Le ossa di Avimimus da questo nuovo sito aggiungono informazioni sull’anatomia di questo theropode: il premascellare è corto e privo di denti, con crenulazioni sul margine orale. I nasali sono fusi, corti e con una forma vagamente “ad ancora”. Il dentale è di forma intermedia tra quello di Caudipteryx e quelli dei caenagnathoidi. Il muso di Avimimus era quindi molto corto, come nella maggioranza degli oviraptorosauri. Il complesso del tetto cranico e della scatola cranica è ampiamente ossificato, con la maggioranza delle suture obliterate.
Aggiornato su questi nuovi dati, Avimimus in Megamatrice risulta sister-taxon del nodo Oviraptoridae + Caenagnathidae.

Bibliografia:
Funston, G. F. et al. 2016. The first oviraptorosaur (Dinosauria: Theropoda) bonebed: evidence of gregarious behaviour in a maniraptoran theropod. Scientific Reports 6, 35782.

07 ottobre 2016

Il mio abelisauro è più grosso del tuo


Forse abbiamo sforato di poco...


Mi rammarico del poco tempo che posso dedicare al blog in questo periodo. Vari impegni, alcuni dei quali saranno ampiamente raccontati sullo stesso blog, si prendono necessariamente tempo ed energie che avrei dedicato volentieri a scrivere qui.
Un tema al quale ho dedicato molti post in passato è quello relativo alle stime dimensionali dei theropodi, ed all’abuso che queste stime hanno subìto divenendo feticci per insostenibili discussioni sulla lana caprina che cresce nel mento degli angeli. Eppure, nonostante l’abbondante mistificazione online, le stime dimensionali sono strumenti utili, se usate con saggezza e moderazione.
In passato, ho spesso parlato delle stime dimensionali per Spinosaurus. In quei post, ho rimarcato come molte stime ipertrofiche di quel taxon derivassero da una grossolana estrapolazione di alcune caratteristiche corporee di questo taxon così inusuale, in particolare la dimensione del cranio deducibile da alcuni esemplari parziali noti esclusivamente per la regione preorbitale. Se, come ritengo sia corretto, Spinosaurus avesse avuto un muso molto allungato per gli standard theropodi, ne concludiamo che qualsiasi stima delle dimensioni dell’animale basate sul suo muso tenderanno ad essere eccessivamente grandi. Tenete a mente questo ultimo ragionamento.

Recentemente, Grillo e Delcourt (2016) hanno pubblicato uno studio nel quale confrontano gli esemplari noti di Abelisauroidea, e producono una serie di metodi per ottenere stime uniformi delle dimensioni corporee da usare come metro di comparazione. Le conseguenze del loro studio sono una serie di equazioni che stimano le dimensioni dei vari abelisauroidi in funzione di differenti elementi ossei. Questo approccio è utile per i casi in cui due taxa non siano preservati nelle medesime parti corporee. Ad esempio, come possiamo confrontare Abelisaurus, noto solo dal cranio, con Xenotarsosaurus, noto solo da elementi della gamba?
Le analisi di Grillo e Delcourt (2016) sanciscono quale sia il più grande abelisauride noto.
No, non è Carnotaurus. No, non è Ekrixinatosaurus. E non è nemmeno Abelisaurus.
Il più grande abelisauride noto è risultato essere l’olotipo di Pycnonemosaurus.

Pycnonemosaurus è noto da resti frammentari: alcune vertebre caudali ed una tibia sono le parti meglio conservate. Ammetto che prima di vedere l’immagine che confronta le caudali e la tibia di Pycnonemosaurus con quelle degli altri abelisauridi, non avrei scommesso su questo risultato.
Eppure, confrontato con gli altri taxa, questo abelisauride brasiliano è effettivamente il più massiccio. Usando le formule da loro sviluppate, Grillo e Delcourt (2016) stimano la lunghezza di quel esemplare in quasi 9 metri. Per confronto, gli olotipi di Carnotaurus, Abelisaurus ed Ekrixinatosaurus sono stimati essere lunghi circa un metro in meno. Grillo e Delcourt (2016) menzionano il femore marocchino descritto di recente da Chiarenza e Cau (2016), che noi interpretammo come appartenente ad un grande abelisauride di dimensioni comparabili a quelle di Carnotaurus ed Ekrixinatosaurus. Purtroppo, le loro formule non includono misure che siano ricavabili dall’esemplare marocchino, tuttavia, siccome il femore in questione ha la stessa ampiezza alla diafisi di Ekrixinatosaurus, si può ragionevolmente ipotizzare che anche quel animale fosse lungo circa 8 metri.

Aldilà delle misure ottenute per i singoli esemplari e taxa, è molto interessante l’approccio metodologico seguito da Grillo e Delcourt (2016). Invece di proporre una singola formula per un singolo elemento “chiave”, essi producono numerose formule per varie parti del corpo, dalle quali poi ricavare una distribuzione di misure, all’interno delle quali stimare la dimensione dell’animale.
Quale è il vantaggio di questo approccio? Oltre a quello, accennato prima, di permettere di avere formule anche per animali noti da poche ossa, esso permette di ridurre il rischio di stime “esagerate” basate su elementi ossei anomali. Ad esempio, gli autori notano che usando le varie formule ottenute dal loro metodo, la lunghezza corporea di Abelisaurus risulta essere compresa tra 6.7 e 8.1 metri quando utilizzano alcune misure di parti pre-antorbitali del cranio (lunghezza della zona iugale, lunghezza del tetto cranio e altezza dell’orbita) mentre se utilizzano la lunghezza dell’intero cranio, l’animale risulta avere la improbabile lunghezza corporea di 38 metri! Ovviamente, questo ultimo valore è del tutto ridicolo e va scartato. Ma cosa ci può dire, in generale sulla metodica di stima corporea? Innanzitutto, che la lunghezza nota di quel cranio (che è in buona parte ricostruito) è probabilmente sbagliata, ma anche che – qualora fosse una misura corretta - la lunghezza della testa in questo animale è probabilmente fuorviante per stimare la sua dimensione corporea totale. Infatti, il fatto che tutte le altre stime su elementi “conservativi” della zona posteriore del cranio concordino verso un valore attorno a 7.4 metri, mentre la stima ottenuta includendo anche il muso risulti molto lontana da quel valore, dimostra che utilizzare il muso come unico elemento per stimare le dimensioni di un theropode può condurre a eccessive estrapolazioni. Utilizzando molte stime da elementi disparati del corpo, e poi valutando la distribuzione di questi valori, è quindi un modo saggio di stimare le dimensioni di un animale estinto frammentario.

Bibliografia:
Chiarenza, A. A., and Cau, A. (2016). A large abelisaurid (Dinosauria, Theropoda) from Morocco
and comments on the Cenomanian theropods from North Africa. PeerJ, 4, e1754.
Grillo, O.N., Delcourt, R., Allometry and body length of abelisauroid theropods: Pycnonemosaurus nevesi is the new king, Cretaceous Research (2016), doi: 10.1016/j.cretres.2016.09.001.